Quando si riflette su queste due parole, non si può fare a meno di intenderle per vie diverse ma icrociate, come se corressero parallele tra loro per poi, senza preavviso, allontanarsi velocemente, fare una piega e incrociarsi nuovamente.
Il ricordo è il ritorno di una esperienza passata, la memoria è la facoltà mentale che lo permette.
C'è un ricordo personale, solo mio, e una memoria collettiva che ci unisce.
Ma al di là delle definizioni, tra l'altro sempre superficiali, è interessante notare l'ambiguità di un ricordare che può essere privato o pubblico, personale o collettivo, esistenziale o storico.
Ognuno fa la conta dei propri ricordi, li affronta con maggiore o minore serenità, li guarda con gioia, con nostalgia, si lascia schiacciare dal loro peso o ne fa dei trampolini di lancio verso il domani.
La possibilità di rimanere imbrigliati nella nostalgia, che impedisce il progetto sul futuro, è sempre presente. Ma il ricordare, anche quando si rivela un freno, è sempre utile per l'individuo.
Più interessante è il suo riflesso sulla vita sociale delle persone, sulla influenza che il ricordare e, soprattutto, il non ricordare hanno sulla "politica".
Enzo Biagi diceva che "la memoria è una fatica che gli italiani non hanno così viva". Lo sforzo del ricordo, quando diventa memoria condivisa di fatti che interessano tutti, non è più un atto singolo, dovuto alla volontà di ognuno, ma risente dell'influenza di coloro che di quel patrimonio comune sono gli artefici e i megafoni: i politici e i giornali.
Si dice che se non si parla di una cosa è come se non fosse mai accaduta; la realtà diviene un fatto solo quando la si racconta, così come un ricordo acquista potere solo quando lo si rievoca dai meandri dell'inconscio.
Ma anche quando viene raccontato, un fatto deve essere mantenuto vivo per non perdere il suo valore, cosa che non avviene in Italia. Il presente che ci viene venduto è assolutizzato, privo delle sue appendici naturali che sono il passato e il futuro, incapace perciò di tramutarsi in un semplice passaggio tra quello che è stato e quello che sarà.
Le dichiarazioni politiche si accavallano l'una sull'altra, scivolano via senza imprimera una forza che dovrebbe tramutarsi, a seconda dei casi, in sdegno o condivisione.
Può essere detto tutto e il contrario di tutto, l'uscita infelice di un politico può anche non essere corretta da una smentita, tanto il giorno dopo si ricomoncia da zero.
Le polemiche sono stagionali e, fredde o calde che siano, ci penserà la natura a stemperare il clima con l'inevitabile arrivo delle mezze stagioni.
Quando si perde il ricordo, si perde la facoltà di giudicare.
Tutto è scontato, non c'è più spazio per la rabbia e per il cambiamento. Siamo imbrigliati in una dimensione temporale che ci rende ebeti.
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