venerdì 19 marzo 2010

Una visione "ingenua" della seconda Intifadah

Oggi, 19 marzo, è uscito su Libero un articolo di Angelo Pezzana molto critico verso le dichiarazioni di Napolitano in Siria. Non ho molta stima per quel giornale, la cui linea editoriale è nota. Ma è utile soffermarsi su alcuni punti dell'articolo in questione. Leggendolo ho avuto la conferma dell'esistenza di due storie che corrono parallele lungo la via della diatriba arabo-israeliana.
Pezzana, dopo aver contestato Napolitano perché "critica gli insediamenti, non i terroristi", si dilunga in un esempio che, a suo dire, rivela la strategia palestinese: una propaganda mediatica ad ampio raggio tesa a delegittimare lo Stato ebraico e "a convincere noi poveri ingenui creduloni, che in fondo gli ebrei sanno solo cercarsela, e ben gli sta".
Riporto testualmente le sue parole:

"Era già successo il 28 settembre 2000, ricordate?, con quella che passò alla storia come la 'passeggiata di Sharon sulla spianate delle moschee', e come tale è rimasta nell'immaginario collettivo come la causa della seconda Intifadah. Come per miracolo, la guerriglia, benedetta e giustificata da un gesto clamoroso, e in più facile da comunicare, ebbe inizio. La realtà era un'altra, ovviamente. Sharon si era recato sul monte del Tempio dopo averne concordato la visita con le autorità musulmane, che non avevano avuto nulla da ridire. Ad organizzare la versione 'esplosiva' era stata quella canaglia di Arafat, che in tutta la sua purtroppo lunga carriera è sempre riuscito a manipolare con abilità i mezzi di informazione occidentali.
Che quella sia stata l'occasione per la seconda Intifadah è una menzogna."

La tesi finale è che tutto era già programmato, ai palestinesi serviva solo il pretesto per iniziare la guerriglia ed apparire i "buoni" agli occhi degli occidentali. L'occasione è stata quindi colta con la visita, innocente e tranquilla, di Sharon alla Spianata delle moschee.
Ci sono molte cose da dire, ma sorvolerò su chi è Sharon e sul suo passato e su cosa voglia dire manipolare la verità per crearsi degli alibi, perché altrimenti si perderebbe di vista il punto centrale.
Ad onor del vero esiste una tesi opposta a quella di Pezzana e di molti altri che la pensano come lui. Infatti si è dimenticato di riportare un piccolo particolare: la rivolta non scoppiò a causa della visita di Sharon, ma solo dopo tre giorni, durante i quali l'esercito israeliano presidiò costantemente la Spianata sacra ai musulmani. Paradossalmente Pezzana ha ragione: è una menzogna dire che l'occasione per la seconda Intifadah fu la visita di Sharon, l'obiettivo richiedeva più sforzo. L'Intifadah era già pronta? Ovviamente i palestinesi, i movimenti più o meno radicali che li rappresentano e i singoli individui arabi, vivono in una realtà in cui lo scontro è sempre aperto. Quindi ogni scintilla può far esplodere un incendio. Pezzana lo sa, e lo sapeva anche meglio Sharon che, tra tutti i suoi difetti, non annovera di certo quello di ingenuità politica.
La vera domanda è: perché fare quella visita? Perché mantenere delle pattuglie in quella zona, quando si sapeva benissimo che ciò avrebbe scatenato una rivolta?
Chi sono i veri "ingenui creduloni"?
Allora la visuale si ribalta; i veri maestri di propaganda sono gli Israeliani che, attraverso la provocazione, scatenano la rivolta palestinese per giustificare una repressione dura e cruda che è stato da sempre lo slogan di Sharon. Una mossa geniale per apparire agli occhi degli occidentali, tramita una manipolazione dei fatti, i difensori della loro sicurezza contro i cattivi palestinesi.
Aggiungo solo una cosa che ho visto con i miei occhi:
nella parte araba di Gerusalemme c'è una casa che sovrasta tutte le altre, maestosa e invadente, sulla quale campeggia una enorme bandiera israeliana che, mossa dal vento, accarezza un grande candelabro a 9 braccia. Quella casa è di Ariel Sharon, non ci abita, ma è solo un monito per tutti i palestinesi. Alzando lo sguardo, ogni giorno vedono i due simboli israeliani, quello laico e quello religioso, guardarli dall'alto all'interno della loro zona.
Quando si dice provocare.

giovedì 18 marzo 2010

Ognuno si fa la sua Storia

Per cogliere tutte le sfumature che caratterizzano il conflitto arabo-israeliano è indispensabile ricercarne le radici nella Storia.
E' un lavoro difficile per diverse ragioni: in primo luogo si deve arretrare nel tempo, e cominciare l'indagine dalla fine dell'Ottocento.
Inoltre, è un conflitto che può essere equiparato ad un libro non ancora terminato ma che può vantare la stesura di numerosi capitoli, tutti completi e coerenti.Ogni capitolo può dirsi concluso, ma il suo apporto rimarrà aperto fino a quando non sarà messo il punto definitivo a tutto il racconto.
Questa continuità fatta di episodi ormai datati, che però mantengono inalterata la loro influenza sulla situazione odierna, ha contribuito a rendere difficile un'interpretazione univoca. Ecco che, allora, un'analisi storica sulle origini e sulle prospettive dellla questione israelo-palestinese non può ridursi ad una cronologia delle tappe più importanti che hanno portato alla nascita dello Stato d'Israele e che hanno scandito i suoi scontri con gli arabi e i palestinesi.
Dietro ad ogni avvenimento ci sono delle logiche che si possono disvelare solo conoscendo le pieghe culturali e politiche che lo sostengono.
In questo spazio è impossibile trattare tutti gli avvenimenti che hanno portato alla situazione odierna. Questo spazio è invece utile, al di là del numero di persone che leggerano ciò che scrivo, per ribadire che la Storia non è mai una.
Bisogna studiare sempre due punti di vista per capire gli errori che vi sono in una parte e nell'altra. Non bisogna mai formarsi un terzo punto di vista che sia il risultato della sintesi tra i primi due.
Bisogna sempre tener presente che il conflitto in palestina è sì Storia, ma non solo quella fatta dai leader. E' la storia delle vittime incolpevoli, è un romanzo realista scritto da un principiante che mischia stili e generi letterari diversi.

Lo scontro allargato


Spesso coloro che hanno cercato di capire la questione palestinese e di comprendere le ragioni di Israele, lo hanno fatto spinti dalle immagini cruente che ci giungono da quella regione. Ciò non permette di indagare la storia con uno sgaurdo disinteressato, anzi. La prospettiva che si adotta rischia di creare uno scontro di posizioni che tendono a dare ragione ad una parte o ad un'altra.
Premettendo che ogni cosa viene colta, inevitabilmente, solo da una determinata prospettiva che condiziona il nostro giudizio, un buon antidoto è quello di cercare non le ragioni dell'uno o dell'altro schieramento, ma di porre l'accento sui torti che hanno commesso sia la dirigenza palestinese che quella israeliana.
Solo così, credo, si potrà evitare che il conflitto straripi dai territori sino ad invadere gli articoli di giornale, le pubblicazioni e le idee dei singoli individui.
Ma come si deve reagire di fronte alle immagini che ritraggono i volti terrorizzati di israeliani dopo un attentato, o davanti alle scene strazianti dei corpi inermi di bambini palestinesi trucidati dalle bombe israeliane?
E' un gioco difficile da condurre quello della gara all'emotività, ma di sicuro quelle immagini vanno viste. Bisogna guardare negli occhi il prodotto dell'odio politico e religioso per schifarsene.

TRA MEMORIA E RICORDO

Quando si riflette su queste due parole, non si può fare a meno di intenderle per vie diverse ma icrociate, come se corressero parallele tra loro per poi, senza preavviso, allontanarsi velocemente, fare una piega e incrociarsi nuovamente.
Il ricordo è il ritorno di una esperienza passata, la memoria è la facoltà mentale che lo permette.
C'è un ricordo personale, solo mio, e una memoria collettiva che ci unisce.
Ma al di là delle definizioni, tra l'altro sempre superficiali, è interessante notare l'ambiguità di un ricordare che può essere privato o pubblico, personale o collettivo, esistenziale o storico.
Ognuno fa la conta dei propri ricordi, li affronta con maggiore o minore serenità, li guarda con gioia, con nostalgia, si lascia schiacciare dal loro peso o ne fa dei trampolini di lancio verso il domani.
La possibilità di rimanere imbrigliati nella nostalgia, che impedisce il progetto sul futuro, è sempre presente. Ma il ricordare, anche quando si rivela un freno, è sempre utile per l'individuo.

Più interessante è il suo riflesso sulla vita sociale delle persone, sulla influenza che il ricordare e, soprattutto, il non ricordare hanno sulla "politica".
Enzo Biagi diceva che "la memoria è una fatica che gli italiani non hanno così viva". Lo sforzo del ricordo, quando diventa memoria condivisa di fatti che interessano tutti, non è più un atto singolo, dovuto alla volontà di ognuno, ma risente dell'influenza di coloro che di quel patrimonio comune sono gli artefici e i megafoni: i politici e i giornali.

Si dice che se non si parla di una cosa è come se non fosse mai accaduta; la realtà diviene un fatto solo quando la si racconta, così come un ricordo acquista potere solo quando lo si rievoca dai meandri dell'inconscio.
Ma anche quando viene raccontato, un fatto deve essere mantenuto vivo per non perdere il suo valore, cosa che non avviene in Italia. Il presente che ci viene venduto è assolutizzato, privo delle sue appendici naturali che sono il passato e il futuro, incapace perciò di tramutarsi in un semplice passaggio tra quello che è stato e quello che sarà.
Le dichiarazioni politiche si accavallano l'una sull'altra, scivolano via senza imprimera una forza che dovrebbe tramutarsi, a seconda dei casi, in sdegno o condivisione.
Può essere detto tutto e il contrario di tutto, l'uscita infelice di un politico può anche non essere corretta da una smentita, tanto il giorno dopo si ricomoncia da zero.
Le polemiche sono stagionali e, fredde o calde che siano, ci penserà la natura a stemperare il clima con l'inevitabile arrivo delle mezze stagioni.

Quando si perde il ricordo, si perde la facoltà di giudicare.
Tutto è scontato, non c'è più spazio per la rabbia e per il cambiamento. Siamo imbrigliati in una dimensione temporale che ci rende ebeti.